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MILOU A MAGGIO
(MILOU EN MAI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 giugno 1990
 
di Louis Malle, con Michel Piccoli, Miou-Miou (Francia, 1990)
Milou è Michel Piccoli: e lo vediamo fin dall'inizio con un cappello molle da contadino in testa (tutti i contadini hanno sempre, al cinema, un cappello molle in testa; solo quelli giapponesi portano un foulard). Circondato da uno sciame d'api, intento a declamare Virgilio per calmarle. Ed il maggio, lo capiremo subito dagli echi della radio e dalle processioni di studenti in lontananza con bandiera rossa (tutti gli studenti, al cinema, sfilano sempre con bandiera rossa in mezzo alla campagna, anche se non c'è un gatto ad osservarli), è quello francesissimo del 68.

Francesissimo è poi il tono del film. Più che da quelle di Virgilio, siamo dalle parti di Renoir: panteismo a profusione con ruscelli come quelli di una volta che se immergevi il braccio lo ritiravi ricoperto di crostacei, la presenza di Paulette Dubost direttamente importata da LA REGLE DU JEU, un balletto scanzonato attorno al feretro della nonna che non si riesce a seppellire e, per chi non avesse ancor capito, un Déjeuner sur l'Herbe in piena regola.

Poi, arrivando gli altri personaggi con il Maggio, Louis Malle si fa in quattro: il sessantenne, prima poeta contadino poi piuttosto gentleman farmer, che s'intona alla natura; la graziosa e borghese parigina che è avida e reazionaria; l'intellettuale di Le Monde che fatica a sintonizzarsi; la cugina che è lesbica ma sono fatti suoi; l'attricetta anglosassone insoddisfatta più del letto che della carriera; lo studente esaltato che è in diretta con Parigi; il camionista giunto a caso che è forza della natura; la bimbetta che sa tutto ma non sa cosa vuol dire lesbica.

MILOU EN MAI è un film dimostrativo, con i personaggi (scritti ahimè da Jean-Claude Carrière e fotografati da Ciccio Berta) che portano scritto in fronte cosa sono. Cosa sia, il film di Malle proprio non lo sa: non contento di bucoleggiare tra il realismo e l'impressionismo, a metà strada cambia tono. Ed è ancora peggio: exit Renoir, ecco Bunuel. Rinchiusi, come nell' ANGELO STERMINATORE, senza potersene andare, impegnati in una specie di strip-poker come nel FANTASMA DELLA LIBERTA': Carrière si dev'essere alzato una mattina ricordandosi di aver sceneggiato, a suo tempo, IL FASCINO DISCRETO DELLA BORGHESIA.

Poco male, mi direte: ma a pasticciare con gli stili si rimescolano le idee. E, prendendo affettuosamente per idioti personaggi e spettatori, si finisce a farsi dare (da "Libération") del fascista.


   Il film in Internet (Google)

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